LA CHITARRA BATTENTE IN ALTA TERRA DI LAVORO
Durante gli anni 60 dell’ottocento, Francesco Loffredo scrisse una monografia su Sora, a quel tempo in Terra di Lavoro e «Città di seconda classe, Capoluogo del Distretto che da essa prende nome, e di un Circondario parimenti di seconda Classe».
(F. Loffredo, Sora, in Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato da Filippo Cirelli, vol. III, “Terra di Lavoro”, fasc. 1, num. progr. 35, Stabilimento tipografico di Tiberio Pansini, seconda edizione, Napoli 1858, pp. 1-16: 1. Il Circondario di Sora comprendeva anche i Comuni di Pescosolido, Campoli [Campoli Appennino], Brocco [Broccostella], Isola [Isola Liri] e Castelluccio [Castelliri].)
Nel paragrafo riguardante gli usi e i costumi, Loffredo attestò l’uso della chitarra battente:
«…è costumanza ne’ matrimoni, specialmente de’ nostri campagnuoli, che i parenti e gli amici più stretti il dì delle nozze invitati, rechino ciascuno, oltre un piccolo dono alla sposa, un canestro colmo di provvisioni da mangiare, ricoperto di un serico drappo quanto più si puote elegante, chiuso intorno da un bel nastro parimenti di seta. E tutti poi seduti al desco, fra i brindisi, i suoni e le canzoni, qualche volta anche poco vereconde, fanno onore alla coppia felice. […] E poiché ho parlato di canzoni, sappiasi che esse sono strofe composte di otto versi endecasillabi rimati alternativamente, e si cantano accompagnate da una chitarra detta battente».
L’utilizzo di tale tipo di liuto doveva essere abbastanza consueto il quel Circondario, giacché Giuseppe Margilli, nel compilare un’analoga monografia municipale riguardante Campoli e nell’accennare alle canzoni popolari di tale località, scriveva che:
«consistono in tante ottave di storpii endecasillabi, che alternamente rimano fra loro, ed animate dalle più vive espressioni ora di affetto, ora di odio, ora di sdegno, ed ora di disprezzo. Sogliono cantarsi a solo, di notte tempo, da giovinastri sotto le finestre delle loro belle, con monotona cantilena accompagnata da chitarra battente, e talvolta dalla piva..».
(Qui piva sta certamente per zampogna, strumento quest’ultimo da secoli in uso nel Lazio meridionale e che, all’interno del predetto fascicolo de Il Regno delle Due Sicilie (cfr. nota 1), viene ricordato laddove si danno notizie delle usanze di capodanno a Santelia. – G. Margilli, Campoli, in Il Regno delle Due Sicilie…, cit., pp. 33-53: 49.)Va aggiunto che a quell’epoca, nel medesimo territorio, era attivo almeno un costruttore di chitarre.
(M. Lanni, Santelia, in Il Regno delle Due Sicilie…, cit., pp. 54-66: 62. L’uso della chitarra fu attestato anche per Mola e Castellone – cfr. Il Regno delle Due Sicilie…, cit., pp. 66-72: 71).
Nel 1883, Vincenzo Simoncelli pubblicò a puntate, nel Giambattista Basile, un lungo articolo intitolato Costumi sorani (V. Simoncelli, Costumi sorani, «Giambattista Basile», anno I¸ nn. 2-3-4-5, 1883, pp. 12-13, 23-24, 28-29, 34-35.34 n. 45, gen./mar. 2008).
Nella terza parte dell’articolo descrisse alcune tradizioni musicali legate alla raccolta del mais:
«…la festa della nostra campagna è il ricolto del granoturco, il così detto montone, piena d’incidenti e scene originali; in quest’occasione si sciorina la copia immensa delle loro canzoni. Si è sull’aia: in mezzo s’innalza il mucchio delle pannocchie (montone); seggono intorno a terra gl’intervenuti che scartocciano le spighe. Vecchi, giovani, bambini, donzelle, maritate, tutti vi convengono attirati chi dall’amicizia, chi dal divertimento, chi dall’amore. Il vecchio fa il suo augurio al contadino che dà la festa; i giovani discorrono, ridono, schiamazzano, gareggiano nell’opera, ché il pensiero del ballo fa pizzicare i piedi. L’organetto e la chitarra battente sono all’ordine, comincia il canto. Odi l’innamorato cantare alla sua bella […]. Finito il lavoro, s’imbandisce sull’aia la rustica cena e tutti intorno intorno mangiano e cioncano a sazietà. Dopo, ecco il ballonzolo. L’organetto, la chitarra o il piffero intuonano la monotona tarantella: tutti si stringono».
(V. Simoncelli, Costumi sorani, «Giambattista Basile», anno I, n. 4, 15 aprile 1883, pp. 28-29).
Nella quarta ed ultima parte del suo articolo, Simoncelli accenna ad alcune tradizioni ludiche e alle canzoni a despette accompagnate dalla chitarra battente:
«A volte il ballo è seguito da giuochi: disposti curvi l’uno ad una corta distanza dall’altro, si saltano poi consecutivamente fino all’ultimo; o in tre, seduti, si fa lo scarparo o, in piedi, la civetta, nell’uno de’ quali giuochi quel di mezzo regala a sorpresa ciabattate sulla mani di quei che lo fiancheggiano, nell’altro schiaffi solenni. Si fa la torre ponendosi uniti colle braccia passate intorno al collo, in ordine di quattro, su’ quali si reggono due che a lor volta fan da base all’ultimo che torreggia in alto.
V’ha poi un altro genere di canzoni dette a despette: le cantano sotto la casa di persona cui vogliono appunto far dispetto. Così se alcuno viene a sapere qualche paroletta minacciosa di un suo rivale, alla sera ecco sotto la casa una chitarra battente e si canta:
M’è fatta ’na bravata ’ste baùse, che non passasse chiù ’nnanz’alla casa; le corna le tè chiene ’na caúta, quanne le caccia fa tremà’ la casa. S’è fatta ’na sciàbola de ferre prute, ’ne corteglie de corne de capra; s’è fatta ‘’na pestola de sammuche, ’nse fita d’ammazzà’ manche ’na crapa».V. Simoncelli, Costumi sorani, «Giambattista Basile», anno I, n. 5, 15 maggio 1883, pp. 34-35.
Meno di tre decenni dopo (1914), nel volume Viaggio in Ciociaria, Cesare Pascarella riscontrò nuovamente l’uso della chitarra battente nella medesima area territoriale, in occasione d’una visita all’abbazia di San Domenico a Sora.
(C. Pascarella, Viaggio in Ciociaria. Avventure e aneddoti illustrati dall’autore, Bideri, Napoli 1914, p. 51. Nel medesimo volume, Pascarella accenna alla battente anche a p. 121: «Di tanto in tanto, s’udiva qualche voce che, roca dal sonno e dalla fatica, cantava le preci e giù dalla vallata, ne l’aria fresca, venivano gli accordi gravi de la cornamusa e i suoni aspri de la chitarra battente»).
«Sulla via dinanzi alla chiesa – scrisse Pascarella –, fra le grida dei contadini che saltano al suono delle zampogne e degli organetti, si avanzano lunghe file di pellegrini, cantando lodi a San Domenico.
Le preci degli uni, si confondono, si mescolano con le grida degli altri e fra le brigate che cantano canzoni d’amore, al suono aspro della chitarra battente, sbisciano seri, i pellegrini, come spettri, appoggiandosi a lunghi bastoni tutti infioccati, carichi di amuleti e di immagini della Madonna di Canneto e di San Domenico…».
In foto due esemplari di Chitarre Battenti costruite da Fernando Cedrone